JOSÉ DOMINGO GUARIGLIA
Era l’11 marzo 2011. Una scossa violentissima di 8,9 gradi Richter aveva colpito gran parte del suolo giapponese e anche le sue coste, generando il terremoto più forte della storia del paese asiatico, caratterizzato per essere una zona sismica. Poi arriva lo tsunami che spazza via tutto con onde che superano i dieci metri. Più di 10.000 morti e numerosi feriti. Si è generata l’allerta nelle zone vicine dell’Oceano Pacifico, ma anche in America, mentre l’Europa temeva la possibilità di un disastro nucleare, dopo una piccola esplosione alla centrale nucleare Fukushima 1.
Questo è lo scenario che ha scatenato una lunga successione di messaggi attraverso internet. Il mondo ne aveva bisogno di sapere cosa stava succedendo e i cittadini avevano in certo modo il “monopolio”del racconto, la possibilità unica di testimoniare in prima persona quello che succedeva davanti ai loro occhi e che in frazioni di secondo aveva cambiato le loro vite. È l’essenza di quello che si conosce come citizen journalism (giornalismo cittadino).
Il citizen journalism implica una partecipazione attiva da parte del pubblico nel processo di raccolta, analisi e diffusione delle informazioni e le notizie. Con questo tipo di comunicazione, persone che non sono giornalisti hanno l’opportunità di usare le nuove tecnologie per creare contenuti di tipo giornalistico o contraddire informazioni giornalistiche pubblicate dai media tradizionali. É valido sia per contenuto del tipo testuale, sia per video o foto.
Il recente disastro del Giappone ha messo in evidenza il potere crescente delle nuove tecnologie per comunicare in situazioni di disagio, dove le risorse sono poche e i media tradizionali diventano insufficienti per coprire le milioni di testimonianze sui feriti, le persone che hanno perso le loro case e l’aiuto alle popolazioni colpite.
Si tratta di un fenomeno verificatosi in modo simile durante i terremoti in Cile e Haiti, ma in ogni caso è un’ evoluzione importante se si paragona con gli attentati dell’ 11 settembre 2001 quando ancora non esistevano i social network e le reti telefoniche erano fallite.
Secondo Tweet-O-Meter, più di 1.200 tweet o (messaggi) sono stati pubblicati dopo un’ora del terremoto. Erano persone che avevano vissuto in prima persona i fatti e che lo raccontavano direttamente nei loro profili personali di Twitter e Facebook. Verso la fine dell’11 marzo 246.075 tweets avevano la parola "earthquake" (terremoto in inglese). Ma perchè l’impatto delle nuove tecnologie è stato così forte nel Giappone?
I dati del US Census Bureau affermano che in Giappone esistono 126.804.433 abitanti (2010), e di questi 99.143.700 sono utenti di internet (78,2%). Quindi, si tratta di una popolazione altamente sviluppata, che produce apparecchi tecnologici e sa come utilizzarli in ogni momento.
I social network e il citizen journalism
Attraverso una revisione del sito SocialMention, che si occupa di monitorare l’impatto di una parola specifica nei social network esistenti, si ottiene che “Japan” è stata usata principalmente nei social network di immagini como Photobucket o in Twitter che è il social network per eccellenza per la diffusione di notizie, e anche su Youtube. Questo evidenza l’importanza delle foto, i video e il contenuto notizioso o di opinione su questa tragedia. Nell’analisi dei blog le parole più usate sono “earthquake”(terremoto) e “tsunami”, mentre le notizie si concentrano in questo momento sul tema nucleare.
Il direttorio mondiale di blog, Technorati, conferma l’esistenza di 648 posts sul Giappone tra i suoi blog registrati.
Dopo il colasso delle line telefoniche, il sito di microblogging Twitter e la rete sociale Facebook si sono trasformati nel modo più semplice e veloce di mantenere contatto con il mondo esterno e di coordinare l’aiuto verso le popolazioni colpite dal terremoto. Molti, dall’estero, hanno avuto la possibilità di contattare I loro famigliari residenti nel Giappone attraverso la rete.
Lo stesso Dipartimento di Stato Americano e organizzazioni di aiuto umanitario hanno pubblicato su Twitter i numeri di emergenza e la localizzazione dei rifugiati.
Data l’imprevedibilità del disastro i media tradizionali non erano preparati. I giornali e le televisioni internazionali hanno cominciato a inviare i suoi corrispondenti al posto, ma la copertura di quello che stava accadendo era stata già fatta al momento da parte di milioni di giapponesi con accesso a internet. Le cause di questa situazione sono due: da una parte l’instantaneità che offre internet, mentre dall’altra il fatto che il servizio di internet continuò a funzionare nel paese nippone senza interruzioni.
La rete è piena di racconti di persone che hanno contattato i suoi figli nel momento esatto in cui tremava attraverso Twitter o il chat di Facebook. La gente pubblicava piccoli messaggi sullo stato della situazione, così come foto e piccoli filmati ripresi col telefonino. Si tratta di una società mediatizzata, abituata ad usare le nuove tecnologie nella vita quotidiana e quindi, anche nei momenti difficili.
Pochi minuti dopo I primi messaggi su Twitter si crearono i primi hashtag (parole che raggruppano messaggi che vengono scritti sul sito di microblogging e che hanno un tema comune). I hashtag più importanti in quel momento erano #prayforjapan, #japan, #japanquake e #tsunami, il che dimostra l’importanza dell’incidente per l’opinione pubblica mondiale.
Considerando che la maggior parte dei messaggi sul disastro vengono direttamente dai telefonini, Twitter ha creato una sezione speciale nel suo sito mobile rivolto specificamente al Giappone. Questo sito interno offre tweets sul terremoto, link e raccomandazioni su profili interessanti che fanno aggiornamenti costanti della situazione.
Migliaia di profili su Facebook offrono informazione aggiornata su quello che sta accadendo nel Giappone e alcuni hanno diffuso video ripresi durante il terremoto. Facendo una ricerca con la parola "Japan" si possono trovare messaggi aggiornati sulla situazione. Facebook ha anche lanciato un’iniziativa per il Giappone nella sua sezione Causes, rivolta al fund raising.
La Croce Rossa Americana ha anche aperto i suoi rispettivi profili su Facebook e Twitter e ha già raccolto circa 130 mila dollari, un segno notevole dell’importanza dei social network per l’aiuto umanitario organizzato. Sia su Twitter sia su Facebook si può utilizzare l’applicazione Help Attack! per sostenere l’azione degli enti non-profit che fanno attività di solidarietà.
I social network si concentrano in questo momento, una volta superata la parte più dura della tragedia, di parlare di relief (aiuto umanitario) e di #songsforjapan, quindi delle canzoni con scopo benefico che si stanno preparando in tutto il mondo. Molti artisti hanno deciso anche di donare i diritti d’autore di alcuni dei suoi brani e incidere due album che verranno distribuiti dalle quattro compagnie discografiche più grandi. I ricavi delle vendite di questi album verranno destinati al Giappone.
Twitter si usa anche per la valutazione della gestione delle autorità politiche. Alcune campagne in rete chiedevano al primo ministro Naoto Kan di “risvegliarsi” intorno all’emergenza.
L’interesse della popolazione sulla catastrofe nei social media è stato così grande che il 16 marzo l’ufficio del primo ministro giapponese ha deciso di aprire il suo Twitter ufficiale in inglese:
www.twitter.com/JPN_PMO. In un momento difficile in cui i media tradizionali non operavano per i continui tagli di elettricità, il governo considerò giusto aprire un canale diretto di comunicazione con la sua popolazione nella consapevolezza della forte presenza tecnologica.
Secondo lo studio intrapreso dal Pew Research Center’s Project for Excellence in Journalism due terzi dei link che circolavano su Twitter l’11 marzo parlavano del terremoto e del tsunami. Durante la settimana del 7 all’11 marzo, 20% dei link delle notizie appartenevano a questa tematica, mentre 15% parlavano della crisi libica. È un nuovo utilizzo dei social network che adesso si avvicinano al giornalismo.
Le immagini che hanno colpito il mondo
Pochi minuti dopo il terremoto la rete è stata invasa dai video. Milioni di giapponesi hanno registrato con le sue camere fotografiche e i suoi telefonini video dei momenti in cui il terremoto era in corso e li hanno pubblicato su Youtube e su altri servizi simili.
Sulla rete, molti di questi filmati sono stati guardati da milioni di persone al mondo, prima di essere presi e ritrasmessi dagli emittenti televisivi del mondo. In questo modo si osserva chiaramente come un video personale è stato capace di arrivare ai media tradizionali e come questi ultimi hanno deciso di utilizzare questo materiale per coprire la mancanza di informazione. Di nuovo le tecnologie hanno favorito l’instantaneità e l’autenticità nella diffusione dell’informazione.
Alcuni emittenti televisivi non solo hanno trasmesso video di Youtube ma hanno chiesto al loro pubblico di inviare i filmati ripresi durante il terremoto e nei momenti successivi, contribuendo alla promozione del citizen journalism. Tale è il caso della CNN che, dopo l’allerta di tsunami, ha chiesto ai cittadini di Hawaii e la Costa Ovest degli Stati Uniti di inviare video e foto attraverso il servizio di contenuto generato dall’utente iReport del loro sito web
http://www.cnn.com/.
YouTube ha preso un ruolo ancora più attivo attraverso il canale YouTube Person Finder, nel quale vengono pubblicati videomessaggi da parte delle vittime del terremoto e lo tsunami per trovare i famigliari persi. Le persone possono fare la ricerca con il nome della persona sparita, il nome del luogo dove abitava o il nome dei diversi alberghi. Questa informazione verrà collegata tra pochi giorni con l’informazione offerta dal Google Person Finder, iniziativa che permette cercare persone perse e allo stesso tempo offrire informazione su queste persone.
In più, YouTube ha lanciato il servizio di CitizenTube che permette ai cittadini di pubblicare i suoi video su casi specifici, in particolare le rivolte del Nord Africa e la catastrofe in Giappone. Si può accedere al servizio attraverso
http://www.youtube.com/citizentube.
Il potere dei blogger
Un altro aspetto notevole del citizen journalism nella catastrofe giapponese viene dato dall’importante ruolo dei blogger, quindi coloro che scrivono dei blog o siti che raccolgono articoli pubblicati in modo cronológico da un’ottica personale.
Molti blogger hanno avuto un’ opinione critica nei confronti del lavoro dei media tradizionali. Hanno denunciato l’esistenza di una campagna di sensazionalismo nel tono delle notizie riguardanti il terremoto e lo tsunami e hanno segnalato la carta stampata e le sue versioni digitali per presentare un’immagine “catastrofica”della situazione.
Alcuni hanno accusato in particolare i media italiani di esagerare i fatti per creare nell’opinione pubblica italiana paura verso il nucleare, il cui referendum è stato rimandato per un anno. Così afferma il blogger Mattia Butta, per chi, allo stesso tempo, con queste messaggi, i giornalisti colpiscono gravemente il turismo nel Giappone. “Se tu descrivi Tokyo come una città fantasma la gente non va più a farci le ferie, con tante grazie di chi, in questo paese, lavora nel turismo. Gli stranieri sono scappati per accontentare i genitori terrorizzati dalla stampa. Con tante grazie di chi lavora nell’insegnamento del giapponese agli stranieri”, scrive sul suo blog
http://www.butta.org/.
Un gruppo di blogger si è organizzato per creare il Journalist Wall of Shame, al quale si può accedere attraverso l’indirizzo web
http://jpquake.wikispaces.com/Journalist+Wall+of+Shame. In questo sito vengono esposti quelli articoli che esagerano o distorsionano la realtà rispetto al terremoto e allo tsunami nel Giappone, al tempo che si spiegano gli errori presenti in quelli articoli.
Blogger di tutto il mondo si sono organizzati per creare il Giorno del Silenzio For Japan With Love. Con questa iniziativa, hanno deciso di promuovere il lavoro dell’organizzazione non profit ShelterBox, che cerca di distribuire kit di aiuto alle popolazioni colpite dal terremoto e lo tsunami.
I blogger hanno chiesto ai loro lettori di diffondere nei social network il sito
http://www.forjapanwithlove.com/ e hanno deciso di non pubblicare nessun contenuto nei loro blog il 18 marzo, dopo una settimana esatta della strage del Giappone.
Media tradizionali vs. Media partecipativi
Molti media tradizionali si sono trovati con l’incapacità di poter seguire quanto accadeva e alcuni hanno usato e approfittato gli strumenti che offre internet. Nello specifico, giornali come il Wall Street Journal crearono blog speciali che si aggiornavano al momento con i commenti dei lettori, che venivano incoraggiati a scrivere le loro esperienze nel posto. Così i cittadini si trovarono ad occupare il posto del reporter. Alcuni pubblicarono anche foto, oltre ai commenti scritti. Il blog si trova nell’indirizzo
http://blogs.wsj.com/japanrealtime/2011/03/11/live-blog-japan-earthquake/ e ha ricevuto commenti da parte degli utenti durante tutto l’11 marzo.
Dall’altra parte la rete Al Jazeera ha creato anche una serie di blog (uno differente per ogni giorno dall’ 11 marzo) in cui hanno pubblicato gli aggiornamenti più importanti che offrivano gli altri media, i commenti degli utenti, il contenuto dei social network e i messaggi dei corrispondenti della rete. CNN ha cercato anche di avvicinarsi alla notizia e ha usato il blog generico dell’emittente televisivo.
La televisione giapponese, NHK, dall’altra parte, diffondeva foto inviate attraverso applicazioni di iPhone agli utenti del mondo intero e in tempo reale.
Si osserva quindi, un lavoro di squadra ma allo stesso tempo di concorrenza tra i media tradizionali e i “nuovi media” nella diffusione dell’informazione. Sebbene l’uno e l’altro contribuiscono a creare l’opinione pubblica sui fatti della vita quotidiana, bisogna notare l’importanza di ognuno. Mente i social network e i siti web creano e diffondono informazione in modo veloce e molto fedele, i media tradizionali possono portare un certo ordine per fare una selezione di ciò che è importante al fine di capire meglio l’enorme quantità di informazione esistente in rete.
Lo scenario comunicativo cambia. I media tradizionali hanno ancora un grande potere per influenzare l’opinione pubblica e i decisori politici, ma adesso cittadini, in qualità di testimoni o protagonisti dei fatti, possono dare la sua versione senza filtri e riuscire anche a smentire il discorso mediatico.